OUTSIDE
Perché molti di noi (compreso il sottoscritto) siamo così ossessionati dalla ricerca? Perché per comunicare in modo più semplice dobbiamo ricorrere a sovrastrutture, che di elementare hanno ben poco?
Stasera ho visto Capote, adesso Susanna Schimperna su Radio 2 parla del lato negativo di ognuno di noi.
Il nuovo film dedicato a Capote, “Infamous”, non l’ho ancora visto. Questo mi è piaciuto.
La vicenda di per sé non ha niente di interessante, come d’altronde la cronaca da giornale di provincia che leggi in attesa di un appuntamento, di una pizza, di …
Il modo in cui è rappresentato (o illustrato Truman Capote) invece sì. Parallelamente alla ricerca della verità, di quella notte, lo spettatore è invitato ad analizzare la ricerca che lo scrittore fa sui propri sentimenti, sul proprio passato.
Una soubrette in un programma televisivo qualche giorno fa, parlando di eutanasia, disse con tutta franchezza che lei su quel argomento un’opinione non se l’era ancora fatta, le mancavano dei pareri.
Anche a lei, come a Truman (e come molti altri), la ricerca le aveva lasciato una semplice sottostimata labirintite. La ricerca verso la fine, a volte ti conduce in un limbo nel quale ti piace ballare solo se è tutto buio.
Ballare in quell’oscurità d’improvviso ti fa capire che se la tua ricerca non sarà valida (soprattutto per te stesso) se non sarà diversa, se non uscirà da tutto ciò che è stato detto, fatto fino ad ora.
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